Le polemiche scatenate intorno alla modifica dell’art.18 della L.300/70 e della L.604/66 sui licenziamenti individuali, contenuta nel disegno di legge governativo n.3249, approvato dal Senato ed in attesa di esame presso la Camera dei Deputati, sembrano interminabili.

La reintegrazione nel rapporto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato per giustificato motivo oggettivo

La questione più dibattuta è quella della reintegrazione nel rapporto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato per giustificato motivo oggettivo.

La reintegrazione altro non è che una modalità di risarcimento del danno ingiusto subito, così come accertato in giudizio.

Si tratta del disposto di cui all’art.2058 C.C., ovvero del c.d. risarcimento in forma specifica in luogo di quello per equivalente, previsto nei casi di illecito ma applicabile anche ai casi di responsabilità contrattuale per opinione dottrinale ampiamente condivisa.

La ratio della tutela

Tale tutela nasce come mezzo di protezione di particolare intensità per i diritti la cui realizzazione non è attuabile mediante forme per equivalente.

La ratio della c.d. tutela reale, di cui all’art.18 co.4, sta nel riconoscimento della posizione di inferiorità contrattuale della parte lavoratrice e nella conseguente predisposizione di una forma di protezione piena.

L’ordinamento riconosce il diritto fondamentale al lavoro e predispone gli strumenti più intensi e completi per consentirne l’esercizio incondizionato.

A tale fine, i casi di recesso unilaterale dal contratto della parte datoriale sono puntualmente disciplinati dalla legge.

Lo strumento sanzionatorio di natura reale

La norma, tanto discussa, dispone lo strumento sanzionatorio di natura reale (ma solo per le imprese con più di quindici dipendenti).

Questo paradigma giuridico, ponendo mente al principio comunitario dell’effettività della tutela, non sembra però soddisfare le concrete necessità di affermazione del lavoro.

Lavoro significa, infatti, un salario dignitoso oltre che realizzazione della propria personalità e diritto a prestare la propria attività lavorativa in un contesto sicuro.

Laddove queste condizioni non siano più realizzabili con lo stesso datore, la forma di tutela più forte smette di essere la conservazione del posto e diventa quella ad ottenere una soddisfazione immediata delle proprie ragioni anche a titolo risarcitorio.

Diremo di più.

Laddove non siano realizzabili le condizioni per un lavoro dignitoso e sicuro, diventa compito dell’ordinamento ricercare ed approntare tutti gli strumenti di tutela alternativi idonei ad assicurare non tanto e non solo la continuità del posto a tutti i costi, quanto la creazione delle premesse necessarie e sufficienti a rientrare nel mercato del lavoro, garantendosi nel frattempo i necessari mezzi di sostentamento.

Se sopravviene l’impossibilità della controprestazione, é impossibile la realizzazione dell’oggetto del contratto, ovvero la stessa prestazione lavorativa.

Nell’originario disegno di legge

L’esclusione della reintegrazione nel caso di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, prevista nell’originario disegno di legge, rispondeva ad una scelta alternativa inserita nell’attuale contesto di mercato più che ad un preteso disegno di affievolimento delle tutele contrattuali.

A conferma di ciò, sin dall’impianto originario, non si metteva in discussione il riconoscimento dell’unica forma di tutela applicabile nei casi di nullità del licenziamento, inesistente ab origine e dunque inidoneo in via assoluta a determinare la perdita del posto di lavoro.

La nota dolente

La vera nota dolente sta nell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento ed in particolare degli effettivi motivi dello stesso, ad evitare che il recesso per quelli economici, organizzativi, produttivi (giustificato motivo oggettivo), dedotto dalla parte datoriale, ne simuli altro illegittimo che non avrebbe consentito la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro (giusta causa) o che riguardi un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro (giustificato motivo soggettivo) o che, addirittura, mascheri motivi discriminatori e/o disciplinari.

Il Governo è allora intervenuto sul prospettato abuso del licenziamento per motivi economici, reinserendo l’ordine di reintegro del lavoratore anche nel caso di licenziamento illegittimo per giustificato motivo oggettivo, nei casi in cui il giudice accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento c.d. economico.

Le modulazioni di intensità della tutela reale nei confronti della parte lavoratrice

Fatta così salva l’equazione illegittimità del licenziamento-reintegrazione, restano nel disegno di legge le modulazioni di intensità della tutela reale nei confronti della parte lavoratrice.

  • Nel caso di nullità del licenziamento per fatto discriminatorio accertato, ovvero negli altri casi di nullità ex lege o ai sensi dell’art.1345 C.C., il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro .
  • Nel caso di annullabilità del licenziamento, il giudice ordina la reintegrazione al datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze più di quindici lavoratori, solo nelle ipotesi  di mancata ricorrenza degli estremi del giustificato motivo soggettivo e della giusta causa  tra le quali vengono espressamente indicate quelle sintomatiche della:
  • insussistenza dei fatti contestati
  • fatto punibile con sanzione conservativa in base ai codici disciplinari
  • difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore
  • manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

L’indennità sostitutiva della reintegrazione

In ogni caso,il lavoratore potrà optare per l’indennità sostitutiva della reintegrazione così quantificabile:

  • non oltre quindici mensilità (dell’ultima retribuzione globale di fatto) nei casi di nullità;
  • non oltre dodici mensilità nei casi espressi di annullabilità
  • Nelle altre ipotesi di accertamento della non ricorrenza degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro e nei casi di inefficacia per mancata indicazione dei motivi di licenziamento e per mancato previo espletamento della nuova procedura obbligatoria di conciliazione, non è previsto il reintegro sul luogo di lavoro ma solo un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata fra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Una contraddizione

Sembrerebbe così risolta la lunga querelle sul diritto alla reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, ma resta una contraddizione, mai sollevata da alcuno dei troppi commentatori  della prima versione della riforma, oggi confermata dal co.43 dell’ art.1 del DDL Governativo approvato dal Senato.

Il comma 3 dell’art. 30 della legge 183/2010 prevede:

nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del d.lgs. 276/03 e s.m.i.”.

Tale previsione porta già con sé un’evidente limitazione della discrezionalità del giudice ed una conseguente impossibilità per lo stesso di entrare nel merito delle ragioni economiche giustificatrici del licenziamento individuale o plurimo.

Ove un datore di lavoro sostenesse il licenziamento per motivi economici, sulla base delle espresse e tipizzate previsioni contrattuali, non occorrerebbe alcun accertamento quanto la mera verifica della ricorrenza delle circostanze tipizzate.

In buona sostanza, l’accertamento dei motivi economici non può comportare alcuna invadenza del giudice negli assetti economici e produttivi dell’azienda, ma una mera ricognizione della sussistenza delle condizioni giustificatrici individuate dalle parti nel contratto e/o dalla legge.

Non occorre scomodare la giurisprudenza in tema di licenziamento, basta rifarsi a quanto  l’ordinamento riconnette all’incontro fra la volontà certificata dalle parti nel contratto.

Il co. 43 dell’art. 1  del DDL

Il co. 43 dell’art. 1  del DDL, sopra citato, rafforza questo limite al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro, disponendo che il superamento dello stesso costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto.

In tale contesto si inserisce, con la novella della L.604/66, art.7 introdotto dal co.40 art.1 ddl in esame, un redivivo T.O.C. per i soli licenziamenti economici, presso la Direzione Territoriale del lavoro.

Il datore comunica l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, indica le ragioni e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

L’Ufficio convoca le parti entro sette giorni dinnanzi alle Commissioni di cui all’art.410 C.P.C..

Se il tentativo di conciliazione fallisce, il datore può comunicare il licenziamento al lavoratore.

Se invece riesce, nell’arco di tempo che va dal minimo dei  venti giorni dalla trasmissione della convocazione da parte della DTL, al massimo degli ulteriori quindici giorni di eventuale sospensione per documentato legittimo impedimento del lavoratore, oltre al tempo ulteriore su eventuale richiesta di entrambe le parti di proseguire ancora la trattativa finalizzata al raggiungimento di un accordo, il rapporto di lavoro si risolve consensualmente.

E’ palese l’assenza di adeguati strumenti di valutazione, da parte della Commissione, sulla sussistenza dei motivi oggettivi addotti da parte datoriale e la conseguente mera verifica dell’indicazione formale degli stessi nella comunicazione sopra detta.

Tornando alle premesse

In questa durissima fase economica, riconoscere nel recesso datoriale per ragioni economiche tipizzate uno stato di necessità sembrerebbe più in linea con lo schema negoziale vivo, sicuramente lontano dalle diatribe infinite che celano le altre, forse più rilevanti, novità della riforma relative all’ingresso nel mondo del lavoro.

Tanto varrebbe, allora, ragionare in termini non più di illegittimità del licenziamento per motivi economici/ reintegrazione, quanto di fatto necessitato/ indennizzo.

Per restare alle aspre discussioni sollevate dalla riforma e al fine di rendere ancora più esplicita la conclusione suggerita, si pensi alle concrete ipotesi di licenziamento per le stesse ragioni nel pubblico impiego (si veda in proposito l’articolo di F. Verbaro  “Licenziamento e riforma del lavoro. Cronaca di una specialità” in Rivista del Pubblico Impiego del Sole 24 ore n.4 del 2012):

  • esubero, se la riduzione in percentuale delle piante organiche rilevi un numero di personale superiore a quello previsto dalla Legge
  • eccedenza, laddove per effetto della revisione di spesa si dismettano Uffici troppo costosi e si determini una oggettiva difficoltà di ricollocazione del personale ivi allocato
  • motivi finanziari, ove la manovra economica riduca fortemente le somme destinate al funzionamento delle Pubbliche Amministrazioni

Tutte cause insuscettibili di valutazione giudiziale.

Ovviamente, in tal caso si applica la procedura di mobilità di cui all’art.36 T.U.P.I., salvo eventuali armonizzazioni delle normative di riferimento, tese ad equiparare completamente il lavoro dipendente pubblico e quello privato.

Insomma,tanto rumore, forse, per nulla.