La pronuncia della Corte di Appello di Palermo

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 7 agosto 2019, in applicazione del principio di diritto espresso dalle SS UU in tema di nullità urbanistiche, ha affermato che il contratto di compravendita è sempre valido, a prescindere dalla conformità o difformità della costruzione realizzata rispetto al titolo.

Il fatto

La fattispecie scrutinata è la seguente: l’immobile trasferito, dopo la stipula del preliminare, ove veniva descritto come unica unità con categoria C1, subiva una serie di rilevanti modifiche; in particolare, nel contratto definitivo, risultava censito con 29 subalterni, con diverse categorie catastali (C1, C2 e A10), avendo il venditore realizzato opere che avevano comportato l’aumento del numero delle unità immobiliari con modifica della destinazione d’uso, supportate da mera comunicazione al Comune ai sensi dell’art. 26 della Legge 47/1985.

La parte acquirente invocava quindi la radicale nullità della compravendita ai sensi dell’art. 46 D.P.R. 380/2001, sul presupposto che gli interventi realizzati richiedessero il preventivo rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruire e non la mera comunicazione al Comune.

Il Giudice di prime cure (prima dell’intervento delle Sezioni Unite) perveniva al rigetto della domanda sul rilievo che era mancata la prova della esatta collocazione temporale degli interventi realizzati sull’immobile in assenza del titolo concessorio. Secondo il Giudice, in particolare, essendo la costruzione dell’edificio anteriore al 1 settembre 1967, sulla base delle produzioni documentali versate in atti era ipotizzabile che il mutamento di classificazione catastale – intervenuto tra preliminare e definitivo – non fosse frutto di una profonda trasformazione edilizia, ma di un mero adeguamento del dato catastale ad un preesistente non mutato stato di fatto.

La soluzione adottata

La Corte Territoriale, argomentando dal tenore letterale dell’atto di compravendita (che riportava la menzione ante 67 nonché l’elenco degli interventi eseguiti successivamente) ha concluso per la validità del trasferimento.
Dopo aver rapidamente ripercorso l’itinerario argomentativo delle Sezioni Unite, che hanno privilegiato, com’è noto, l’orientamento d’impronta formale, la Corte di Appello ha affermato che il dettato normativo prescrive unicamente che la “dichiarazione del venditore deve esistere e riguardare l’immobile; nel caso in esame il contratto contiene la dichiarazione prescritta dall’art. 40 L.47/85 relativa agli immobili edificati anteriormente al 1 settembre 1967 e non vi è dubbio che si riferisca all’immobile in oggetto, con conseguente validità della compravendita”.

La Corte di Appello di Roma

Analoga soluzione è stata data anche dalla Corte di Appello di Roma, con sentenza ex art. 281 sexies cpc dello scorso 9 maggio 2019, che ha altresì avuto modo di precisare come soltanto l’attestazione rilasciata dal venditore sulla edificazione ante 1° settembre 1967 sia richiesta dalla legge ai fini della validità del trasferimento e “non anche quella secondo cui successivamente a tale data non sarebbero intervenute modifiche o innovazioni per le quali fossero necessarie licenze o concessioni”.

Il fatto

Il caso riguardava la compravendita di un appartamento posto all’ultimo piano di un edificio realizzato in base ad una licenza di costruzione del 1962 e per il quale era stato rilasciato il certificato di abitabilità nell’aprile del 1967, ma il cui originario progetto autorizzato prevedeva per tale porzione la destinazione a “soffitta”.

Il Tribunale aveva accolto l’azione di nullità proposta dall’acquirente ritenendo non veritiera la dichiarazione del venditore sull’edificazione ante ’67, poiché il primo titolo di trasferimento del 1970 riguarda l’alienazione di una “ampia soffitta”, da cui poter desumere l’espletamento di lavori successivamente a tale termine e senza alcun titolo autorizzativo; inoltre, era stato anche richiamato (ad abundantiam) l’orientamento cd. sostanzialistico espresso dalla Cassazione con le sentenze del 17 ottobre 2013, n. 23591, e del 5 dicembre 2014, n. 25811, ad ulteriore sostegno della decisione assunta per la natura abusiva e non condonabile delle opere eseguite.

La soluzione adottata

La Corte di Appello, invece, rilevato che dalla CTU espletata risultava l’esistenza del certificato di abitabilità dell’intero stabile (da cui il completamento dei lavori entro il termine di legge), alla luce dell’intervento delle SSUU ha ritenuto formalmente corretta la dichiarazione dell’alienante ed irrilevante l’abuso commesso.

Entrambe le decisioni mettono in luce la complessità della normativa di settore, determinata non soltanto da una stratificazione e proliferazione di interventi legislativi (con finalità talvolta diametralmente opposte per il mutato contesto socio economico), ma anche dal sovrapporsi di pronunce giurisprudenziali e di prassi amministrative contrastati tra loro, con evidenti difficoltà d’interpretazione da parte degli operatori coinvolti.