La riforma del mercato del lavoro

La riforma del mercato del lavoro approvata con Legge 28 Giugno 2012 n.92, in vigore dal 18 Luglio, prevede, dal comma 48 al comma 68 dell’art.1 norme dedicate alle controversie di lavoro, limitatamente all’impugnativa di licenziamento.

Il primo dubbio sorge su quanto una procedura definita “corsia preferenziale” possa realmente accelerare i tempi della giustizia o, piuttosto, appesantire l’organizzazione delle sezioni lavoro dei Tribunali Civili, alle prese con un contenzioso in lievitazione.

L’introduzione di una procedura ad hoc crea perplessità.

Sia perché esistono già gli strumenti processuali per la tutela d’urgenza di cui all’art 700 C.P.C.

Sia perché il rito del lavoro, come noto, nasce all’insegna dei principi di concentrazione, oralità ed immediatezza che ne fanno già un rito caratterizzato da particolare celerità rispetto a quello ordinario.

La garanzia di una giustizia rapida sembrerebbe stare più nell’efficiente impiego di risorse umane e strumentali che nell’introduzione di un nuovo rito, per lo svolgimento del quale si rischia di distogliere le limitate risorse dalle altre “corsie”.

Il ricorso avverso licenziamenti ritenuti illegittimi

Ciò premesso, il nuovo procedimento riguarda solo i ricorsi avverso licenziamenti ritenuti illegittimi :

Le disposizioni sul “processo breve” si applicano alle controversie che hanno ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art.18 della L.300/’70, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.

La prima fase

La prima fase del processo si apre con il deposito del ricorso che ha i requisiti di cui all’art.125 del C.P.C. e con il quale non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui sopra,salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi  e si chiude con ordinanza immediatamente esecutiva di accoglimento o di rigetto.

L’efficacia esecutiva  non può essere sospesa o revocata, almeno fino alla Sentenza che decide sull’opposizione all’ordinanza.

Considerati i tempi e le modalità di convocazione della prima udienza, non oltre 30 giorni dal deposito del ricorso, anche a mezzo di posta elettronica certificata, possiamo sin qui apprezzare la notevole velocizzazione  degli esiti decisori di prima istanza.

Opponibilità dell’ordinanza

Ovviamente, l’ordinanza è opponibile, con ricorso contenente i requisiti dell’art.414 C.P.C., da depositare entro trenta giorni dalla notificazione della stessa, o dalla comunicazione se anteriore.

Anche nel ricorso in opposizione  non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al co. 47 citato.

Salvo siano fondate  sugli identici fatti costitutivi ed anche salvo siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti.

L’udienza di discussione viene fissata non oltre i successivi 60 giorni.

Nel caso di chiamata in causa di terzo, il giudice fissa una nuova udienza entro i successivi 60 giorni.

Va rilevato che, nel caso in cui la memoria difensiva dell’opposto contenga domanda riconvenzionale non fondata su fatti costitutivi identici a quelli posti a base della domanda principale, il giudice ne dispone la separazione .

La sentenza conclusiva della fase di opposizione

La sentenza conclusiva della fase di opposizione, provvisoriamente esecutiva, deve essere depositata in cancelleria, completa di motivazione, entro dieci giorni dall’udienza di discussione.

Già nella fase di opposizione i tempi processuali cominciano a dilatarsi.

Trovando un varco insidioso quando in via riconvenzionale l’opposto adduca fatti costitutivi non identici  a quelli posti a base della domanda principale, con conseguente separazione dei processi.

Il reclamo in Corte di Appello

Entro 30 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione  della sentenza che decide sul ricorso in opposizione, può essere proposto reclamo in Corte di Appello.

Se manca detta comunicazione o notificazione, il reclamo non potrà essere proposto trascorsi 6 mesi dalla pubblicazione della Sentenza, ex art.327 C.P.C. .

L’udienza di discussione viene fissata con decreto nei 60 giorni successivi.

Qualora ricorrano gravi motivi, la Corte di Appello può sospendere l’efficacia delle sentenza reclamata.

Arriviamo così al ricorso in Cassazione, di cui al co.62 art.1, entro 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione, se avvenuta anteriormente.

Anche in questo caso, se manca detta comunicazione o notificazione, il ricorso  dovrà essere proposto entro i 6 mesi dalla pubblicazione della Sentenza.

La Corte fissa l’udienza di discussione non oltre sei mesi dalla proposizione del ricorso.

Il calcolo minimo dei tempi di definitiva decisione del processo rapido, considerato l’esperimento di tutte le fasi e di tutti i gradi di giudizio ed espunta qualsiasi sbavatura, ammonterebbe a 270 giorni.

Cui vanno comunque sommati i termini previsti dalla legge per l’impugnativa del licenziamento come ridefiniti dal c.d. Collegato Lavoro ed ulteriormente abbreviati con la medesima riforma, ovvero 60+180.

Se a questi tempi sommiamo altresì quelli dedicati al tentativo obbligatorio di conciliazione preventivo, ovvero 7 giorni dalla comunicazione di volontà di licenziare e 60 entro i quali deve espletarsi il  tfc innanzi alla “solita Commissione” presso le DTL, arriviamo ad oltre 600 giorni.

Ma, attenzione.

Non è sfuggito agli osservatori più accorti che qualsiasi lavoratore, nella fase dell’annuncio della volontà di procedere a licenziamento da parte del proprio datore di lavoro potrebbe immediatamente sospendere l’attività lavorativa ancora in corso per congedo straordinario, impedendo l’efficacia della dichiarazione di volontà di  recesso del datore di lavoro fino al compimento dell’intero periodo di comporto, cioè per ulteriori sei mesi consecutivi.

Siamo così arrivati a circa 800 giorni,verosimilmente 2 anni e mezzo.

Le raccomandazioni della Counità Europea

Il pensiero corre alle raccomandazioni della Comunità Europea per la promozione della risoluzione delle controversie attraverso procedure di mediazione in grado di garantire in tempi certi e veramente brevi la tutela dei diritti civili.

Nel testo di riforma licenziato dal Senato ed approvato definitivamente, compare un opportuno correttivo a tale ultimo aggravio di tempi  eventuale, con l’espressa previsione della produzione degli effetti del licenziamento a decorrere dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato.

Mentre è entrata in vigore la media conciliazione obbligatoria  per altre materie, nell’ambito delle controversie di lavoro é tramontato il tentativo obbligatorio di conciliazione, oggettivamente fallito nel suo intento deflattivo.

La modifica della Legge sui licenziamenti individuali, apportata dal DDL in esame, introduce, quale condizione di procedibilità, una procedura obbligatoria applicabile solo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e nei confronti dei datori di lavoro assoggettati alla disciplina dell’art.18 della L. n. 300/’70.

Senza il previo esperimento di tale procedura obbligatoria dinnanzi alle DTL, il licenziamento è inefficace.

Le controversie relative alle espulsioni dal lavoro crescono in maniera esponenziale ogni giorno.

Proprio perché i diritti non sono merci, come il Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale Forense ha giustamente sostenuto, una materia come quella della tutela dei contraenti nelle vicende di licenziamento avrebbe forse meritato soluzioni legislative più  coraggiose, nella direzione di una conciliazione in grado di rispondere in modo efficace sul piano quantitativo e qualitativo  alle emergenze dettate dalla drammatica  fase economica in corso.

Verso quest’ultima direzione si dirigevano le memorie dell’A.G.I.(Associazione Avvocati Giuslavoristi italiani) trasmesse il 19 Aprile scorso alla Presidenza della Commissione del Senato della Repubblica.

Tale necessità non è stata recepita dal legislatore.