Novità molto rilevanti sia sul profilo organizzativo dell’attività sanitaria che dei riflessi in tema di responsabilità professionale medica nel decreto 158 in vigore da metà settembre 2012.

Comunque rilevanti le integrazioni che si stanno apportando in sede di conversione.

Lo Studio che da molti anni segue anche questo settore valuta con ovvio favore l’approvazione di alcune regole (si pensi al rilievo dato alle linee guida o alle unità di risk management) ma è nel contempo ben consapevole dei diversi aspetti critici su cui occorrerebbe intervenire. Pur nella consapevolezza di come sia spesso inutile riflettere su testi normativi non definitivi (anche se operanti) si è comunque ritenuto utile affidare a più Avvocati del Dipartimento una prima valutazione delle regole ritenute più significative sull’attività sanitaria e la responsabilità professionale. La stesura dei singoli contributi si è a volte intersecata con i cambiamenti che sono –appunto- in corso nella Commissione competente. La scelta è stata però quella di raccoglierli/pubblicarli tutti, di seguito uno all’altro, anche se a volte relativi agli stessi aspetti, con la indicazione della data di redazione. L’impegno – evidentemente – è quello di tornare sul tema in modo coordinato subito dopo la pubblicazione del testo che risulterà dalla legge di conversione

Indice

Introduzione …………………………..……………………………………………………………………………………………………….. pag. 1
1) Le principali novità del decreto ……………………………………………………………………………………………………… pag. 1
2) Protocolli Terapeutici e conseguenti implicazioni (art. 3 comma 1) …………………………………………………… pag. 5
3) Il Risarcimento del danno biologico nel decreto (art. 3 comma 3) ……………………………………………….……. pag. 8
4) Le modifiche approvate in Commissione all’art. 3 (aggiornamento al 22/10/2012) …………………….……… pag. 11

 

 1) Le principali novità del decreto

Il D.L. 13 settembre 2012 n. 158 si inserisce in un contesto di ridimensionamento dell’offerta assistenziale di tipo ospedaliero e, più in generale, delle risorse destinate al SSN.
La contrazione economia in corso e le più recenti disposizioni legislative (cfr. D.L. n. 95/2012 recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario”) rendono necessario un riassetto degli aspetti più importanti del sistema sanitario nazionale quali le cure territoriali, la governance del personale dipendente presso le strutture pubbliche del SSN, la riqualificazione e razionalizzazione dell’assistenza farmaceutica, nonché la predisposizione di misure urgenti su alcune specifiche tematiche del settore.
Ebbene il D.L. 158/2012 si pone il difficile obiettivo di riformulare e riscrivere alcuni dei principi regolatori della sistema tentando di modificare l’approccio dei cittadini al SSN ed in alcuni casi tentando, persino, di creare nuove interazioni.
Alcune modifiche meritano maggior attenzione: prima tra tutte la c.d. attività intramoenia.
Prima del D.L. in esame, tale l’attività era disciplinata dalla L. 120/2007. La norma, almeno in teoria ne aveva ridisegnato l’utilizzo, prevedendo la realizzazione di spazi ad hoc per lo svolgimento dell’attività intramuraria, ovvero l’individuazione di spazi esterni alle strutture pubbliche con la previsione di strumenti di controllo.
I propositi innovativi della norma, però, non sono stati realizzati, tanto che il rapporto dell’Osservatorio nazionale dell’inizio del 2012 ha evidenziato l’attuazione parziale delle norme contenute nella legge.
Con l’art. 2 il D.L. 158/2012 modifica parzialmente quelle regole e tenta di tracciare definitivamente il passaggio al regime dell’attività libero professionale intramuraria, fissando al 30.11.2012 il termine per la ricognizione degli “spazi” da utilizzare.
Il decreto tenta una soluzione: fronteggiare la carenza degli “spazi” delle Aziende Sanitarie di alcune Regioni o Province, anche a statuto speciale, con la messa a punto di un programma sperimentale che prevede lo svolgimento dell’attività, in via residuale, presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete.
Un tale progetto pur se decisamente innovativo appare, prima facie, difficilmente perseguibile.
Si pensi, infatti, alla possibilità che una prestazione sanitaria da erogarsi a spese di tutti i cittadini, sia vincolata al rispetto – prioritario- dell’attività professionale di uno studio privato.
Oppure si pensi, ancora, alla possibilità di erogare le prestazioni fornite dal Servizio Sanitario Nazionale, (cfr. esami strumentali invasivi o meno) mediante l’utilizzo della strumentazione medica a disposizione dello studio professionale privato.
Questi, solo alcuni degli spunti suggeriti dal decreto in esame che non solo necessitano di una maggiore riflessione, ma sui quali occorre intervenire in maniera più precisa e puntuale; il tutto al solo fine di consentire un allargamento dei confini entro i quali poter esercitare l’attività intramoenia che non pregiudichi i diritti del cittadino. Diversamente ci si troverebbe dinanzi a nuovi rischi per la salute, con l’inevitabile aumento del contenzioso.
Proseguendo nell’esame delle modifiche apportate occorre valutare l’art. 3, che segna alcuni punti importanti in materia di responsabilità sanitaria degli operatori sanitari.
Lo stesso mette in evidenza l’importanza delle linee guida e delle buone pratiche mediche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale, pur riconoscendo e ribadendo l’applicazione degli artt. 1176 c.c. “Diligenza nell’adempimento” e del 2236 c.c. “Responsabilità del prestatore d’opera”. Un tale riconoscimento potrebbe produrre effetti importanti sulla c.d. “medicina difensiva”, riducendo la tendenza a prescrivere esami o farmaci anche in casi non strettamente necessari, al solo ed unico fine di sottrarsi ad azioni risarcitorie. Il pregevole tentativo del Governo di ristabilire un limite al suo utilizzo deve però correre parallelamente alla giusta ed univoca definizione di espressioni quali “atto medico” o “atto sanitario” poste a base delle modifiche; il tutto al solo fine di arginare la libera interpretazione che, come unico risultato avrebbe la lesione dell’autonomia decisionale dei medici nello svolgimento della professione medica e la trasformazione dei professionisti in meri esecutori delle disposizioni delle linee guida autorizzate.
L’art. 3 offre poi, un altro spunto di riflessione circa i requisiti minimi ed uniformi dei contratti di assicurazione dei professionisti sanitari. Il decreto fa divenire obbligatoria la stipula, a tutela del cliente, di polizza per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività; tale esigenza – sorta dall’incremento sia del contenzioso giudiziario in ambito sanitario sia dei premi delle polizze – ha spinto il legislatore a pensare ad una rimodulazione della gestione delle coperture assicurative. Di fatto anche alla responsabilità del medico dovrà essere applicato il principio per il quale il premio deve essere proporzionato alla quantità di sinistri. In tal modo si tenta di evitare che alcune categorie, particolarmente esposte a rischi in ragione dell’attività svolta, possano risultare più penalizzate rispetto ad altre. Senza dubbio anche questa modifica appare foriera di nuove problematiche. Una tra le tante: il professionista per evitare di incorrere in casi di responsabilità (ed in aumenti dei premi) potrebbe far ricorso proprio a quella “medicina difensiva” che con il decreto in esame si intende contrastare. Anche in questo caso, quindi, appare necessaria una modifica strutturata oltre che più rigorosa.
Un ulteriore spunto di riflessione lo fornisce la riconosciuta possibilità di estendere anche ai sinistri derivanti dalla responsabilità professionale ed alla malpractice medica i criteri di risarcimento del danno di cui agli artt. 138 e 139 del D.lgs. 209/2005. Ma, ci si chiede, può veramente l’applicazione di criteri univoci garantire un’equità di trattamento tra un soggetto leso a seguito di sinistro stradale ed uno per responsabilità professionale? La risposta al quesito dovrà passare dalle aule di giustizia e dalla pratica; rileva però evidenziare che ad oggi, l’art. 138 attiene al risarcimento del danno biologico di non lieve entità che dovrebbe utilizzare quali criteri di calcolo la Tabella Unica, prevista dalla legge 57/01 e ad oggi non ancora formulata
Proseguendo nella disamina, non può certo passare inosservata la disciplina che delinea le “nuove” regole per la Dirigenza sanitaria ed il governo clinico.
L’art. 4 modifica ed integra gli artt. 3 bis, 15 e 17 del D. lgs. 502/1992. Vengono disciplinate le modalità di nomina dei direttori generali delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale. Quelli delle Asl e degli altri enti saranno selezionati da un elenco di “idonei” costituito mediante una selezione effettuata da una commissione di cui è disciplinata la composizione. Nuovi anche i metodi e gli strumenti di valutazione dei dirigenti medici e sanitari. Viene altresì stabilita una nuova e diversa disciplina per il conferimento degli incarichi di direttore di una struttura complessa e di responsabile di struttura semplice. E’ prevista, infatti, la nomina di una commissione che individui una terna di candidati idonei tra i quali la scelta viene effettuata dal direttore generale, con obbligo di motivazione nel caso in cui il proprio parere di discosti dal criterio del maggior punteggio. Senza dubbio una riforma improntata alla trasparenza che dovrà essere “provata – e testata- sul campo”.
Qualche breve cenno sui livelli essenziali di assistenza (L.E.A) e sulle nuove competenze dell’AIFA. L’art. 5 aggiorna le prestazioni sanitarie minime ed indispensabili cui hanno diritto tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, includendovi le malattie rare, le malattie croniche e la ludopatia (la dipendenza dal gioco). Entro il 31.12.2012 verrà emanato un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in merito all’esigenza di disporre una maggiore conoscenza dei dati della ludopatia nel Paese, con particolare riferimento all’opportunità di intervenire nel campo della pubblicità, al fine di limitare l’uso dei giochi e rendere sistematica la cura della patologia del gioco d’azzardo.
L’art. 10 disciplina lo snellimento degli adempimenti burocratici sulla produzione ed immissione in commercio dei medicinali, al fine di garantire l’erogazione e l’utilizzo uniforme quelli innovativi e di particolare rilevanza su tutto il territorio nazionale, garantendo così parità di trattamento a tutti gli assistiti del SSN. L’art. 12 riconosce nell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) l’Autorità competente nella gestione della sperimentazione clinica dei farmaci da immettere sul mercato italiano; inevitabilmente si allargano le frontiere della responsabilità dell’Agenzia.
Dopo un rapido excursus sulle principali novità del decreto occorre ora soffermarci su una delle più rilevanti novità che, forse, rispetto alle altre avrà maggior impatto sulla qualità della vita quotidiana.
L’art. 1 a parziale modifica dell’art. 8 del D.L. 502/1992, apporta tra le altre modifiche quella rubricata sub 1 lett. b bis) che, nell’ambito dell’organizzazione distrettuale del servizio prevede la necessità di: “ garantire l’attività assistenziale per l’intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana, nonché un’offerta integrata delle prestazioni dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, della guardia medica, della medicina dei servizi e degli specialisti ambulatoriali, adottando forme organizzative monoprofessionali, denominate: “aggregazioni funzionali territoriali”, che condividono, in forma strutturata, obiettivi e percorsi assistenziali, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, linee guida, audit e strumenti analoghi, nonché forme organizzative multiprofessionali, denominate: “unità complesse di cure primarie”, che erogano prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l’integrazione dei professionisti delle cure primarie e del sociale a rilevanza sanitaria” […omissis…]
Prima di valutare la novella, occorre ricordare che i professionisti di medicina generale ed i pediatri di libera scelta rientrano nella categoria del “personale convenzionato”, ovvero di chi non è vincolato da alcun rapporto di subordinazione nei confronti delle strutture del SSN ma che, comunque, esercita un’attività professionale in loro favore. Tale tipo di rapporto esula dall’area del pubblico impiego, visto che difetta la subordinazione, e rientra a pieno titolo nell’ambito della prestazione d’opera professionale, sia pure con i connotati della prestazione d’opera continuativa e coordinata (sent. 10378/96 SS.UU.).
Ebbene, l’art. 8, comma 1 del decreto legislativo 502/1992 disciplina il rapporto tra il SSN, i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, prevedendo che sia normato da apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati ai sensi dell’articolo 4, comma 9, della legge n. 412/1991, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
La lettera e) del comma 1 dell’articolo 8 del D.Lgs. citato nel testo precedente all’entrata in vigore del D.L. in esame, che ne dispone la soppressione già prevedeva tra i princìpi cui devono conformarsi gli accordi collettivi, la garanzia dell’attività assistenziale per l’intero arco della giornata per tutti i giorni della settimana attraverso il coordinamento operativo e l’integrazione professionale, nel rispetto degli obblighi individuali derivanti dalle specifiche convenzioni, tra le attivitàdevari settori (pediatri di libera scelta, medicina generale e dei servizi, guardia medica) attraverso lo sviluppo di forme di associazionismo professionale e la organizzazione distrettuale del servizio.
Tali princìpi sono stati poi ribaditi e specificati dalla convenzione del 2005, modificata nel 2010, tuttora in vigore.
In questo contesto legislativo e con le garanzie appena ricordate, si inserisce l’art. 1 con il tentativo di riordinare l’assistenza territoriale e la mobilità del personale delle aziende sanitarie.
In ragione del fatto che le cure primarie rappresentano il primo livello di contatto delle persone con il Servizio Sanitario Nazionale, il decreto tenta di riorganizzare nuovi percorsi assistenziali che garantiscano la continuità delle cure. In un Paese in cui è ormai acclarato l’innalzamento dell’età media ed il conseguente invecchiamento della popolazione, si rende necessario rimodulare l’assistenza sanitaria, adeguandola all’aumento delle patologie croniche ed all’aumento delle persone non autosufficienti.
Di fatto con il decreto in esame il legislatore tenta di rafforzare sul territorio la garanzia sanitaria per tutti i cittadini.
Tale scelta riveste caratteri di indubbia opportunità ed urgenza.
Si pensi ai possibili effetti del D.L. 95/2012, convertito in L. 135/2012. Tra i tanti: la possibilità che 149 strutture chiudano perché non allineate agli standard minimi indicati. Ebbene in questo caso i cittadini si troverebbero senza adeguata assistenza territoriale, e questo soprattutto nel caso in cui quella chiusa fosse l’unica disponibile sul territorio.
Si pensi, poi, ai casi di deospedalizzazione. Il cittadino, dimesso dalla struttura (magari di un grande centro), rientrerebbe presso il domicilio senza poter godere dell’assistenza specializzata puntuale e continua. Una simile possibilità potrebbe creare disparità di trattamento tra i cittadini, in espressa violazione dei principi costituzionali.
Evidente, quindi, il tentativo del decreto in esame di fornire una risposta ed un alternativa a queste esigenze, rafforzando non solo l’assistenza sul territorio, ma consentendo a tutti i professionisti del settore di interagire e collaborare tra loro, offrendo la possibilità ai cittadini di avere a disposizione una “squadra” multidisciplinare di che garantisca l’efficacia e la continuità delle cure.
Al fine di realizzare tale progetto – risulta evidente la necessità di reperire fondi – è interessante ricordare la lettera b ter) che prevede la facoltà per le aziende sanitarie di adottare forme di finanziamento a budget per le forme organizzative multi professionali. Uno strumento di programmazione e controllo che definisce obiettivi sanitari di attività tenendo conto del rapporto efficacia-costo delle prestazioni assistenziali e dell’appropriatezza degli ambiti di cura. La “Sperimentazione di budget” prevede di assegnare in via sperimentale, ad uno o più distretti per ogni Regione, una dotazione finanziaria complessiva dei MMG, dei PLS, degli specialisti ambulatoriali e convenzionati e dei medici di continuità assistenziale. Si tratta di un vero e proprio “budget di distretto”, da attivare in via sperimentale per poi procedere al monitoraggio puntuale delle relative spese indotte dal Medico di medicina generale e da altre figure professionali, al fine di verificare la compatibilità fra la proiezione di spesa e la dotazione finanziaria “virtuale”.
La norma costituisce un tentativo di attribuire al distretto uno strumento di governo, programmazione e di responsabilità della spesa; ma la sua attuazione è stata piuttosto limitata: 6 Regioni, di cui solo una ha allargato la programmazione di budget a tutte le aziende unità sanitarie locali, con esiti finali spesso incerti.

Avv. Maria Serafino

2) Protocolli Terapeutici e conseguenti implicazioni, anche dal punto di vista del risk management sanitario (art. 3 comma 1)

L’art. 3, comma 1 del D.L. 159/2012, rubricato “Responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie”, dispone: <<Fermo il disposto dell’art. 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’art. 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale>>.
La prima – impulsiva – domanda è rivolta a chiarire se il legislatore aveva proprio bisogno di ribadire ciò che da decenni accade nelle aule di tribunale.
Nelle cause di responsabilità sanitaria e – in genere – in tutte le cause di responsabilità professionale, la consulenza tecnica d’ufficio gioca un ruolo determinante nello stabilire se ci sia stato errore (negligenza, imprudenza o imperizia), o se comunque la condotta si è discostata dalla buona pratica professionale (ad es. se un trattamento è obsoleto).
Il più delle volte il quesito al CTU – per definizione con conoscenze tecnico-scientifiche che il giudice non possiede – è abbastanza generico, soprattutto nelle Sezioni non specializzate (es. precisi il ctu se il personale dipendente della A.O. convenuta abbia posto in essere tutti i trattamenti necessari ed opportuni, secondo la moderna scienza medica).
Solo qualche giudice estende il quesito alla verifica di “come” il comportamento del medico sia stato o meno contrario alle leges artis, chiedendo all’ausiliario di riferire anche l’esistenza di linee guida di quel particolare trattamento sanitario e l’organismo che le ha stilate.
Sotto tale profilo, il D.L. 159/2012 sembrerebbe imporre al giudice di accertare sempre, tramite la ctu, l’esistenza di norme scientifiche, che dovranno poi essere poste alla base del proprio convincimento e della motivazione nella decisione.
Ma cosa sono le linee guida? E cosa si intende per “buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale?”
Come noto le prime sono raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici più aggiornati. Esse possono provenire da organismi pubblici o privati, nazionali o territoriali.
Dopo la prima riforma del 1978, che ha istituito le Unità socio-sanitarie locali (Ussl), con la finalità di gestire i servizi ospedalieri e i servizi sul territorio, la successiva legge n.92 del 1993 ha sancito il definitivo passaggio ad un sistema decentrato, investendo le Regioni di nuove e maggiori responsabilità della Sanità Pubblica e trasformando le Unità sanitarie locali in Aziende sanitarie locali (Asl), poste a tutela della salute con finalità pubbliche.
Nella Legge 23/12/1996 n. 662 – Art. 1, comma 28 (Misure in materia di sanità, pubblico impiego, istruzione, finanza regionale e locale, previdenza e assistenza), troviamo il primo riferimento alla necessità di formare protocolli terapeutici comuni, uniformarli sul territorio e aggiornarli attraverso una rete che fa capo all’Istituto Superiore di Sanità: <<Allo scopo di assicurare l’uso appropriato delle risorse sanitarie e garantire l’equilibrio delle gestioni, i medici abilitati alle funzioni prescrittive conformano le proprie autonome decisioni tecniche a percorsi diagnostici e terapeutici, cooperando in tal modo al rispetto degli obiettivi di spesa. I percorsi diagnostici e terapeutici sono individuati ed adeguati sistematicamente dal Ministro della sanita’, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanita’, sentite la Federazione nazionale dell’ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri e le societa’ scientifiche interessate, acquisito il parere del Consiglio superiore di sanità. Il Ministro della sanita’ stabilisce, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, gli indirizzi per l’uniforme applicazione dei percorsi stessi in ambito locale e le misure da adottare in caso di mancato rispetto dei protocolli medesimi, ivi comprese le sanzioni a carico del sanitario che si discosti dal percorso diagnostico senza giustificati motivi.>>.
Tuttavia solo con la Legge 449/97 (Legge finanziaria 1998), le Regioni, le Aziende Sanitarie Locali e le Aziende ospedaliere, hanno cominciato ad esercitare funzioni di indirizzo e coordinamento, nonché di supporto per l’individuazione di linee di intervento in favore dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, sempre nell’ottica di equilibrare i costi e la distribuzione dei servizi assistenziali sul territorio.
Ampia parte del Piano sanitario nazionale 1998-2000 è dedicato all’avvio di un programma nazionale per l’elaborazione, la diffusione e la valutazione di Linee guida e percorsi diagnostici e terapeutici.
In particolare, vengono individuati processi organizzativi e metodologici per selezionare le condizioni cliniche e gli interventi sanitari aventi carattere di priorità, il coinvolgimento degli operatori sanitari, dei cittadini e degli amministratori, nella fase di elaborazione e in quella di diffusione delle linee guida.
Successivamente, il D.Lgs 229/99, Articolo 1, comma 10, lettera h, recita: “Il piano sanitario nazionale indica: le linee guida e i relativi percorsi diagnostico-terapeutici allo scopo di favorire, all’interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l’applicazione dei livelli essenziali di assistenza“.
Particolare rilevanza pratica assumono gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), ospedali di eccellenza che perseguono finalità di ricerca nel campo biomedico ed in quello della organizzazione e gestione dei servizi sanitari. Essi svolgono supporto tecnico ed operativo agli altri organi del SSN per l’esercizio delle funzioni assistenziali al fine del perseguimento degli obiettivi del Piano Sanitario Nazionale in materia di ricerca sanitaria e per la formazione del personale. La ricerca, per una singola materia (IRCCS monotematici) o per più aree biomediche integrate (IRCCS politematici), è infatti finalizzata a trovare sbocco in applicazioni terapeutiche negli altri ospedali.
Nella Legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), è istituita la Commissione nazionale per lo studio e predisposizione di linee-guida, alla quale partecipano esperti in medicina generale, assistenza specialistica ambulatoriale e ospedaliera, di rappresentanti del Ministero della salute, di rappresentanti designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e di un rappresentante del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti.
Le linee guida rappresentano quindi una soluzione al problema di produrre raccomandazioni a partire dai risultati degli studi originali disponibili, riducendo la distanza tra ricerca e pratica clinica.
Corollario del progetto è la formazione di una banca dati di linee guida, quale strumento di diffusione, aggiornato e metodologicamente affidabile, che consente il confronto delle caratteristiche di validità e trasferibilità delle informazioni.
A livello internazionale esistono numerosi organismi che raccolgono la produzione di linee guida al fine di consentire un confronto tra metodologie, la diffusione e l’aggiornamento delle raccomandazioni della pratica clinica (Agency for Healthcare Research and Quality: Database di linee guida nato dalla collaborazione di istituzioni sanitarie pubbliche con l’American Medical Association; Scottish Intercollegiate Guidelines Network; Centers for Disease Control and Prevention: informazioni e linee guida su prevenzione e sicurezza, a cura del più importante organismo di controllo statunitense; New Zealand Guidelines Group, banca dati di linee guida neozelandesi dove nella sezione del sito “work in progress” è possibile accedere agli studi in corso). In Italia, con decreto del Ministro della Salute del 30 giugno 2004, è stata creata una banca dati pubblica denominata “Sistema nazionale per le linee guida” (SNLG), finanziata dall’Istituto superiore di sanità su modello della National Guideline ClearinghouseTM (NGC) statunitense realizzata dalla Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ). Essa consente il confronto e la valutazione clinico-metodologica dei principali documenti, nazionali e internazionali pubblicati negli ultimi anni, utile non tanto e non solo alla ricerca, ma soprattutto gli operatori sanitari.
Infatti, senza dimenticare l’aspetto economico, l’utilizzo delle Linee guida, unitamente alla formazione di Protocolli terapeutici e di Percorsi di cura, assolve alla necessità delle Aziende – pubbliche e private – di valutare e risolvere il rapporto efficienza-efficacia delle prestazioni sanitarie per una valida distribuzione delle risorse economiche disponibili.
Agire secondo standard raccomandati nel rispetto di principi di appropriatezza e con l’obiettivo di assistere i clinici nel prendere decisioni e migliorare la qualità delle cure sanitarie, riduce la variabilità nella pratica clinica e il rischio sanitario.
I protocolli terapeutici costituiscono infatti un prezioso strumento per identificare, valutare, comunicare, eliminare e monitorare i rischi associati a qualsiasi attività sanitaria, consentendo all’organizzazione sanitaria non solo di migliorare le proprie prestazioni, ma soprattutto di imparare dagli “eventi avversi” per prevenire il ripetersi delle stesse condizioni di rischio (Risk Management).
Purtroppo, ad oggi, siamo ancora lontani da una cultura di “gestione del rischio”.
Sono ancora poche le aziende – collocate prevalentemente al nord Italia – che si sono dotate di un gruppo di coordinamento per l’attività di gestione del rischio e che hanno costituito un Comitato per la Valutazione dei Sinistri (CVS), finalizzato alla valutazione delle richieste di risarcimento danni e dei sinistri pervenuti alle Aziende o ancora che hanno intrapreso un canale di comunicazione con le Compagnie di Assicurazione finalizzato alla definizione di percorsi condivisi.
Tali virtuose realtà – e lo studio ne ha ampia e diretta dimostrazione – hanno già dimostrato, in pochissimi anni, come sia possibile coniugare elevati livelli di assistenza con la necessaria riduzione dei costi.

Avv. Elisabetta Pirani

 3) Il Risarcimento del danno biologico nel decreto (art. 3 comma 3)

Il decreto Balduzzi ha inteso affrontare il tema della liquidazione del risarcimento per i danni che derivano dall’esercizio della professione medica, stabilendo al 3° comma dell’art. 3 che “Il danno biologico conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui all’art. 138 e 139 del D.lvo 7 Settembre 2005 N.209 (Codice delle Assicurazioni), eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto art. 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie in esse non previste, afferenti all’attività di cui al presente articolo”.
Non si comprende se l’intento abbia il suo fondamento solo nel tentativo di riordino della professione (tenendo a mente il preambolo del Presidente della Repubblica e i criteri guida nell’accertamento della colpa lieve, delineati al n.1 dell’articolo in questione) e, quindi, pure delle sue eventuali conseguenze ovvero se, allineandosi i con gli attuali provvedimenti legislativi finalizzati a rilanciare l’economia, abbia inteso calmierare –oltre al mercato delle prestazioni professionali (abolizione delle tariffe professionali obbligatorie e individuazione di quelle per la liquidazione giudiziale recentemente approvate con D.M.140 del 20 Luglio 2012)- pure il risarcimento del danno conseguente al suo cattivo esercizio.
Fra le più importanti, il Decreto Legge 13 agosto 2011 , n. 138 (Legge di stabilità 2012) e legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148; Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. ”manovra salva Italia”) che abroga tariffe e rinvia a Testo Unico da emanare entro 31.12.12; DPR n. 137 del 7 agosto 2012, schema approvato dal Governo previo parere del Consiglio di Stato;
Anche il motivo della scelta del metodo utilizzato per raggiungere tale obiettivo, può avere duplice interpretazione. Quella finalizzata ad evitare che si possano creare ingiustizie e discriminazioni nel risarcimento del danno, a seconda dell’origine dello stesso, dalla circolazione dei veicoli ovvero dall’esercizio dell’ attività medica e, più in generale, nell’auspicio una prossima regolamentazione uniforme , qualunque ne sia la fonte ; l’altra, meno lungimirante, volta ad assimilare il danno da circolazione stradale a quello derivante dalla responsabilità sanitaria e medica, e sempre con prospettiva di calmierare l’entità dei risarcimenti in considerazione delle recenti disposizioni di legge che hanno determinato la natura obbligatoria dell’assicurazione dei professionisti e quindi, di fatto, tenendo in considerazione come in entrambe le ipotesi le liquidazioni verranno effettuate da Compagnie assicurative.
Sia nell’una che nell’altra delle ipotesi il tentativo non ha tenuto conto dello stato attuale della disciplina sulla liquidazione dei danni.
Il criterio espressamente richiamato nel decreto Balduzzi per la liquidazione è quello previsto dal Codice delle Assicurazioni per i danni derivanti a terzi dalla responsabilità della circolazione dei veicoli.
La prima delle due disposizioni di riferimento, l’art. 138, riguarda il risarcimento del danno biologico di non lieve entità: la stessa è rimasta incompiuta laddove la Tabella Unica Nazionale, già prevista nella Legge 57\01, e poi richiamata nel Codice, non ha ancora vista la luce nonostante il decorso di oltre un decennio.
La seconda prescrizione codicistica, che riguarda pure il danno biologico ma di lieve entità, è viceversa confortata da una tabella di quantificazione da invalidità permanente fino al 9%, adottata con decreto del Ministro della Sanità in concerto con Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, Ministro dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato, sin dal 3 Luglio 2003. La quantificazione viene annualmente aggiornata e risponde ai criteri individuati nel precedente art. 138.
Tuttavia resta aperto il dibattito in giurisprudenza sia sulle voci di danno comprese nella tabella (problematica peraltro comune anche alla liquidazione del danno per le macrolesioni, regolate dalle tabelle dei Tribunali), sia sul criterio di esclusione dall’accertamento recentemente introdotto art.32 del D.L. 1\12, che esclude di fatto la risarcibilità di lesioni e danni ove non obiettivamente riscontrabili (clinico\visivo e strumentale).
Il richiamo alla quantificazione prevista nel Codice delle Assicurazioni anche per il risarcimento dei danni da responsablità professionale medica, in caso di conversione in legge, lascia aperte tutte le problematiche di cui sopra.
In verità, le aspettative degli operatori del settore sono ancorate alla possibilità che una Tabella Unica Nazionale, riferibile al danno alla persona non patrimoniale, cancelli o quantomeno attenui le difficoltà interpretative oggi presenti, non limitandone l’applicazione ai soli casi che derivino dalla circolazione dei veicoli o dall’esercizio della professione sanitaria.
Lo schema contenuto nell’art.138 ha la più limitata finalità di uniformare il risarcimento del danno da incidente stradale sull’intero territorio nazionale, visto che i Tribunali che adottano criteri più restrittivi potrebbero determinare disparità di trattamento nella liquidazione del risarcimento.
La commissione di studio istituita successivamente all’entrata in vigore del Codice delle Assicurazioni, ha allargato la partecipazione ai lavori pure a ANIA, INAIL a esperti di medicina legale e ai rappresentanti delle associazione delle vittime della strada e dei diritti dell’uomo e nell’arco di dodici mesi aveva predisposto un elaborato trasmesso al Ministero dello Sviluppo Economico per la definizione dei valori pecuniari da assegnare ai punti di invalidità.
Nel Febbraio del 2006 l’elaborato veniva rimesso al Ministero della salute per l’acquisizione dei pareri degli altri dicasteri coinvolti, ma solo il 3 Agosto 2011 (dopo più di cinque anni) il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di regolamento e lo ha inviato alla Adunanza del Consiglio di Stato (Sezione Consultiva per gli Atti Normativi) per acquisire il parere prima di sottoporre il provvedimento alla firma del Presidente della Repubblica.
L’Adunanza dell’8 Novembre 2011 ha formulato dei rilievi formali al documento (intestazione relativa a macrolesioni, ma quantificazione comprensiva anche delle lesioni di lieve entità; assenza di riferimenti sull’applicabilità ai soli danni derivanti dalla circolazione stradale) ma soprattutto di natura sostanziale: il mancato rispetto del criterio di aumento progressivo della quantificazione per le macrolesioni; l’opportunità di estendere l’applicabilità della tabella ai danni qualunque sia l’origine degli stessi; la mancanza di una disciplina transitoria per i sinistri già avvenuti con giudizi in corso.
Osservazioni che hanno indotto il Consiglio dei Ministri a non sottoporre il documento alla sottoscrizione del capo dello Stato.
E’ passato un anno e tale situazione non ha avuto sviluppi. Non sappiamo se occorrerà attendere un altro quinquennio prima di avere un nuovo schema di regolamento, in linea con quanto segnalato dal Consiglio di Stato.
Le associazioni, da parte loro, hanno di recente segnalato al rappresentante di uno dei dicasteri facenti parte della commissione la loro valutazione di incostituzionalità dello schema presente nell’art.138 del Codice delle Assicurazioni, chiedendo che la nuova Tabella Unica Nazionale limiti la quantificazione al solo danno biologico, prevedendo espressamente una quantificazione separata del danno morale e\o individuando pure la disciplina transitoria che esclude la applicabilità ai sinistri già verificati alla data di pubblicazione. Nel frattempo la Suprema Corte di Cassazione ha prescritto a tutti i giudici l’adozione di parametri di valutazione uniformi nella liquidazione dei danni alla persona (Cass.N.12408\11), al fine di evitare distorsioni conseguenti all’adozione delle tabelle elaborate dai singoli uffici giudiziari pue di fronte al risarcimento di menomazione dell’integrità analoghe.
La decisione è stata recepita dallo stesso Consiglio di Stato nel parere reso lo scorso 8 Novembre 2011 che ne ha ritenuto il contenuto condivisibile e coerente, tanto da indurre il dibattito a ipotizzare un recepimento nella Tabella Unica Nazionale delle quantificazioni elaborate dal Tribunale di Milano.
La soluzione di tali problematiche, quindi, si ripercuote inesorabilmente anche nella disciplina del danno biologico determinato dall’esercizio della attività sanitaria, attualmente da liquidare –in caso di lesioni di lieve entità- secondo il parametro fornito dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 15 Giugno 2012 e con il limite introdotto dal comma ter e quater dell’art.139 Codice delle Assicurazioni.
Per le macro invalidità superiori al 10% invece il parametro di riferimento è attualmente quello delle Tabelle del Tribunale di Milano elaborate nel 2011 e non aggiornate per l’annualità corrente.

Avv. Michele Sprovieri

4) Le modifiche approvate in Commissione all’art. 3 d.l. 158/2012 (aggiornamento al 22/10/2012)

La dodicesima Commissione in sede referente il 12/10/2012 ha approvato, tra le altre modifiche, quelle che riguardano il primo comma dell’art. 3 del D.L. 158/2012, che si propone di stabilire nuove regole per la responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.
La versione della norma attualmente vigente – fino alla prossima conversione – prevede che “fermo restando il disposto dell’articolo 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale”.
La nuova formulazione, che dovrà affrontare il passaggio in Senato, (sostituisce il testo di cui sopra e) stabilisce invece che “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
Il cambio di prospettiva è evidente. Prima si richiamava un principio già pienamente applicato nella prassi giudiziaria, forse cercando di consolidarlo. Ora l’applicazione delle linee guida diventa un sistema di esenzione dalla responsabilità penale (per colpa lieve), con un richiamo alla linea di condotta del medico, come conforme o non conforme al protocollo, quale criterio di cui il Giudice deve tenere conto per determinare il risarcimento del danno. Evidente che quest’ultimo riferimento avrebbe dovuto essere alla responsabilità dell’operatore sanitario e non al risarcimento spettante al danneggiato. D’altra parte il rinvio all’art. 2043, senza più il richiamo precedente (forse pleonastico) all’art. 2236 c.c., fa sembrare che la riconduzione degli eventi collegati alla responsabilità sanitaria nell’orbita di quella contrattuale sia sconosciuta al Legislatore.
Le modifiche approvate in questi giorni demandano poi ad un DPR, da adottarsi entro 30 giorni – che agevoli l’accesso alla copertura assicurativa degli esercenti le professioni sanitarie – la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi ed uniformi dei contratti di assicurazione, dettando i seguenti criteri cui la norma dovrà attenersi:
– determinare casi – in base a selezionate categorie di rischio – in cui esiste l’obbligo per un nuovo fondo (da costituire) di garantire la copertura assicurativa per medici che ne facciano richiesta;
– stabilire un sistema di aumento e diminuzione dei premi sulla base del numero dei sinistri;
subordinare la disdetta alla reiterazione di una condotta colposa da parte del sanitario.
Gli emendamenti per il momento approvati, a proposito di questo ultimo punto, richiedono che la reiterazione della condotta colposa da parte del sanitario sia accertata con sentenza definitiva.
Il 12/10 era stato inoltre approvato un criterio ulteriore che il DPR avrebbe dovuto rispettare e cioè che per tutte le strutture sanitarie pubbliche e private la copertura assicurativa doveva essere obbligatoria per la responsabilità civile per i danni subiti dai pazienti (includendo quelli cagionati anche dagli operatori sanitari e degli amministratori della struttura o per carenze organizzative), stabilendo altresì il principio dell’azione diretta da più parti invocato.
Il 18/10/2012 questo intero comma è stato soppresso.
Restano per il momento le previsione per cui:
il danno biologico che consegue a casi di rc sanitaria sia risarcito sulla base degli articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni (ma su questo profilo è già convocata la Commissione Igiene e Sanità del Senato per martedì 23/10) e il principio secondo cui
gli albi dei CTU saranno aggiornati con cadenza almeno quinquennale, garantendo presenza degli specialisti accanto ai medici legali, cui la Commissione ha aggiunto la necessità di coinvolgere le società scientifiche, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento.
Era stato inoltre previsto all’art. 3 bis l’istituzione in tutte le strutture sanitari pubbliche (più precisamente le “aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, gli ospedali classificati di cui all’articolo 1, comma 6, della legge 12 febbraio 1968, n.132”) e le strutture di ricovero private accreditate, di una unità di risk management individuata “all’interno della propria organizzazione o con il ricorso a soggetti esterni dotati di specifica competenza in materia”.
Nello stesso articolo venivano individuate le specifiche competenze di questo organo già previsto da alcune normative regionali e precisamente:
“a) individuare anche in contraddittorio con gli organi di prevenzione interni quali indicati dalle vigenti disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro, le situazioni e le prestazioni sanitarie potenzialmente rischiose, anche sotto il profilo di carenze strutturali e dell’organizzazione del lavoro, indicando le soluzioni da adottare per il loro superamento;
b) interagire con i soggetti coinvolti e con l’assicuratore ogni qualvolta si verifichi un fatto che comporti l’attivazione della copertura assicurativa obbligatoria;
c) prestare consulenza in materia assicurativa, di analisi del rischio e di adozione di presidi o procedure per il suo superamento”.
Inoltre, “al fine di attuare le pratiche di monitoraggio e controllo dei contenziosi in materia di responsabilità professionale, le regioni e le province autonome avrebbero potuto istituire: a) all’interno delle strutture sanitarie, unità operative semplici o dipartimentali di risk management che includevano competenze di medicina legale, medicina del lavoro e ingegneria clinica; b) osservatori regionali dei contenziosi e degli errori nelle pratiche sanitarie con adeguate rappresentanze delle associazioni dei pazienti.
Veniva infine istituito presso il Ministero della salute l’Osservatorio nazionale per il monitoraggio del rischio clinico e gli veniva attribuito il compito di “monitorare, a livello nazionale, i dati relativi al rischio clinico” che gli perverranno dalle unità di risk management e dagli osservatori locali, “con particolare riferimento ai costi sociali ed economici, e di redigere annualmente una relazione sull’attività svolta dai suddetti soggetti, finalizzata alla predisposizione di dati omogenei di riferimento e di parametri di valutazione del rischio clinico, nonché alla valutazione sull’andamento del rischio clinico a livello regionale e nazionale”.
Il 17/10/2012 l’articolo è stato però modificato, dopo il parere negativo della Commissione Bilancio (determinando nuovi oneri a carico della finanza pubblica), con una previsione molto meno incisiva (sotto il titolo di Gestione e monitoraggio dei rischi sanitari) disponendo ora l’art. 3 bis che al fine di ridurre i costi connessi al complesso dei rischi relativi alla propria attività, le aziende sanitarie, nell’ambito della loro organizzazione e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ne curano l’analisi, studiano e adottano le necessarie soluzioni per la gestione dei rischi medesimi, per la prevenzione del contenzioso e la riduzione degli oneri assicurativi. Il Ministero della salute e le regioni monitorano, a livello nazionale e a livello regionale, i dati relativi al rischio clinico.
Viene quindi eliminato anche tutto il novero di competenze che venivano affidate alle neonate e già abrogate unità di risk management sanitario.

Avv. Marco Perini

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