La riforma del mercato del lavoro
La riforma del mercato del lavoro definitivamente approvata, conferma gli intenti di superamento della c.d. flessibilità cattiva e delude gli operatori economici.
In molti avvertono che l’impossibilità di utilizzare risorse umane mediante contratti meno onerosi di tradurrà in rapporti di lavoro in nero.
In ambito comunitario
Le prime raccomandazioni della Comunità Europea sulla priorità assoluta da dare al contratto di lavoro a tempo indeterminato risalgono a quindici anni fa.
Mentre in ambito comunitario si andava affermando la necessità di dare stabilità ai rapporti di lavoro, il nostro legislatore articolava le più diverse tipologie contrattuali nella direzione opposta.
In ambito italiano
Accorgersi, proprio oggi che le Aziende Italiane sono in ginocchio, che l’ingresso nel mondo del lavoro non può essere veicolato solo da contratti a progetto e partite IVA, ha un sapore amaro.
D’altra parte, è opinione pressoché unanime che la presunta maggiore flessibilità in uscita, più che un incentivo alle assunzioni a tempo indeterminato, costituirebbe un motivo in più di diffidenza verso quella che dovrebbe essere la struttura fisiologica del rapporto di lavoro, il c.d. contratto dominante.
L’ordine del giorno non dovrebbe essere più quale contratto di lavoro ma quale costo del lavoro.
Sempre con attenzione alla salvaguardia del c.d. contraente debole, ma con altrettanta consapevolezza dell’urgenza di norme in grado di promuovere una controtendenza virtuosa, attraverso una drastica riduzione del costo del lavoro in funzione premiale ed un contestuale aumento del potere di acquisto di chi lavora.
L’analisi delle novità introdotte
L’analisi delle novità introdotte dalla riforma in tema di tipologie contrattuali, non può che essere condotta con spirito assolutamente laico.
Sia perché nessuno dei contratti tipici di lavoro si presta a costituire un modello privilegiato per i contraenti, sia perché l’autonomia individuale e quella collettiva sono oggi in grado di erodere significativamente i pilastri dell’imperatività e di aggirare i divieti di reformatio in peius.
La prima, attraverso la certificazione delle clausole contrattuali, la seconda, attraverso la c.d. contrattazione collettiva di prossimità.
L’art.8 della L.148/2011 rende derogabili dalle parti sociali a livello aziendale tutte le norme di natura legislativa e collettiva a tutela dei lavoratori, compreso l’art.18 dello statuto dei lavoratori, relativamente al divieto di licenziamento senza giusta causa “fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio ed il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio”.
Secondo il nuovo modello della contrattazione siglato tra i sindacati confederali e l’associazione datoriale Confindustria, le RSA , nell’ambito delle unità produttive di riferimento, sottoporranno al voto a maggioranza dei lavoratori specifiche intese modificative dell’attuale assetto regolatorio del diritto del lavoro al fine dell’estensione della loro efficacia erga omnes in ambito aziendale.
Il regime di derogabilità sarebbe giustificato:
dalle precipue finalità di realizzazione di maggiore occupazione;
qualità dei contratti di lavoro;
emersione del lavoro irregolare;
incrementi di competitività e di salario;
gestione delle crisi aziendali ed occupazionali;investimenti e avvio di nuove attività.
Nel merito dell’ organizzazione del lavoro “e della produzione”
Le materie derogabili attengono a:
- impianti audiovisivi;
- mansioni del lavoratore ;
- classificazione ed inquadramento del personale;
- contratti a termine;
- contratti ad orario ridotto,modulato o flessibile;
- regime della solidarietà negli appalti ;
- ricorso alla somministrazione di lavoro;
- orario di lavoro;
- modalità di assunzione;
- disciplina del rapporto di lavoro,comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA;
- trasformazione e conversione dei contratti di lavoro;
- conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro,fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
Il nuovo sistema di contrattazione, da un lato, rende ancora più vitale il contratto collettivo quale fonte in materia di rapporto di lavoro e, dall’altro, ridisegna i confini della stessa autonomia individuale.
Il regime di derogabilità
Il regime di derogabilità é giustificato dalle precipue finalità di realizzazione di maggiore occupazione; qualità dei contratti di lavoro; emersione del lavoro irregolare; incrementi di competitività e di salario; gestione delle crisi aziendali ed occupazionali; investimenti e avvio di nuove attività.
Di fronte alle rapidissime trasformazioni del mercato del lavoro le parti sociali hanno fatto ricorso ad un sistema decentrato di relazioni, in grado di captare e tradurre velocemente le esigenze del mercato.
Stiamo ragionando di un processo di contrattazione in deroga alle fonti legali e collettive preesistenti che il Prof. Vallebona erige a “sgretolamento dell’idolo dell’uniformità oppressiva”, attraverso la tecnica di trasformazione della norma imperativa in norma semimperativa, cioè derogabile da altra fonte espressamente indicata ( l’articolo intitolato “L’efficacia derogatoria dei contratti aziendali o territoriali: si sgretola l’idolo dell’uniformità oppressiva” è stato pubblicato sulla rivista Massimario di giurisprudenza del lavoro n.10 dell’Ottobre 2011).
Ciò premesso, scorriamo in termini comparativi le principali novità in tema di contratto a termine, collaborazione coordinata e continuativa , prestazioni rese in regime di lavoro autonomo (c.d. partite Iva), e lavoro accessorio, tutte fattispecie che più da vicino riguardano l’organizzazione lavorativa degli studi legali.
Il contratto a termine
Il contratto a termine, di cui al D.lgs.368/2001, viene confermato tipologia residuale per effetto della definizione di principio dell’art.1 co.1 , che considera il contratto di lavoro a t.i. non più semplicemente la regola per la stipulazione dei contratti di lavoro subordinati ma la “forma comune di rapporto di lavoro”.
Nello stesso tempo, viene dilatato il termine di sei mesi entro il quale viene meno il c.d. “causalone” per il primo rapporto a tempo determinato ,ora di 12 mesi, con il nuovo co.1 bis. Il contratto a termine a-causale non può essere oggetto di proroga,ai sensi del nuovo co.2 bis dell’art.4.
L’istituto della proroga mantiene per il resto le sue condizioni di legittimità, ma, nel periodo complessivo di durata massima dei 36 mesi , ai sensi del co.4 bis dell’art.5 , si tiene altresì conto dei periodi di missione inerenti la somministrazione di lavoro a t.d. fra i medesimi soggetti e con mansioni equivalenti.
I termini della prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro non possono superare rispettivamente i 30 e i 50 giorni a seconda che questa riguardi contratti a t.d. fino a e pari o superiori ai sei mesi.
Qualora venga oltrepassato il termine inizialmente fissato o successivamente prorogato fino a 60 giorni o 90 Giorni (già 10 e 20), sempre a seconda della durata iniziale del contratto (inferiore o pari e-o superiore ai sei mesi), scattano le maggiorazioni retributive di cui all’art.5 , ovvero la conversione del contratto a tempo indeterminato.
Non sembrerebbe intaccata la previsione in deroga alla disciplina generale che consente, ex art.5 co.4 bis, di stipulare un ulteriore contratto a termine oltre il limite di trentasei mesi presso la DTL competente per territorio con l’assistenza sindacale, attraverso un procedura assistita.
Si riducono, infine, i termini di impugnativa di cui all’art.32 co.3 della L.183/2010, centoventi giorni se si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto iniziale, centoottanta giorni in caso di proroga illegittima o prosecuzione di fatto oltre termini fissati dalla legge.
Le collaborazioni coordinate e continuative
Per quanto riguarda le collaborazioni coordinate e continuative, di cui all’art.61 del D.lgs.276/03, la riforma inserisce ulteriori paletti di all’oggetto contrattuale, alle modalità di esecuzione della prestazione ed all’entità della controprestazione.
Vengono espressamente considerati indici presuntivi di subordinazione:
- la mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa .
- lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi
- lo svolgimento dell’attività di collaboratore svolta con modalità analoghe a quelle svolte dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente (art.69 co.2 u.p.) fatte salve le prestazioni di elevata professionalità individuate dai CCNL
L’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Viene quindi fissato il criterio minimo di livello salariale ancorato al contratto collettivo di settore per mansioni equiparabili.
Le c.d. partite IVA
Quanto alle c.d. partite IVA, il legislatore introduce l’art.69 bis con il quale indica le presunzioni juris et de jure di collaborazione coordinata e continuativa:
- la durata complessivamente superiore ad otto mesi nell’arco dell’anno solare
- il corrispettivo costituente più dell’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco delle stesso anno solare
- una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente
La presunzione in parola non opera:
- qualora la prestazione lavorativa sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi , ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;
- il soggetto che la svolge sia titolare di un reddito di lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali ex art.1 co.3 L.233/1990
- i rapporti instaurati antecedentemente alla data di entrata in vigore della riforma, il 18 Luglio p.v.
Il c.d. lavoro accessorio
Infine,si ridefinisce il campo di applicazione del c.d. lavoro accessorio, di cui all’art.70 D.lgs.276/2003, nei confronti di committenti imprenditori commerciali o professionisti, il cui compenso, mediante appositi buoni che garantiscono la copertura della posizione assicurativa e contributiva, non può superare i 5.000 Euro nel corso dell’anno solare e i 2.000 per ciascun singolo committente.