La Cassazione evidenzia che il danno da perdita del rapporto parentale comprende anche quello esistenziale e ne costituisce una componente intrinseca e precisa quali sono le poste di danno di cui il danneggiato può chiedere (anche cumulativamente) il risarcimento; la perdita della vita, è un bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, non trasmissibile agli eredi.

CASSAZIONE n. 28989 dell’11 NOVEMBRE 2019

Danno non patrimoniale – Liquidazione – Criteri – Integralità del risarcimento – Duplicazioni risarcitorie – Divieto – Conseguenze –

Con la sentenza 28989 la Cassazione ha chiarito le poste di danno che possono essere liquidate a favore dei congiunti del paziente deceduto, sia iure proprio che a titolo successorio, riaffermando l’ortodossia del proprio orientamento precedente.

Il caso deciso era relativamente semplice, trattandosi della richiesta risarcitoria avanzata dai parenti di un soggetto deceduto a causa di una infezione contratta a seguito di un ricovero e senza alcuna colpa da parte del personale sanitario.

Risarcimento del danno parentale iure proprio

La corte territoriale aveva liquidato, in favore degli attori, un risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale unitamente a un risarcimento a titolo di danno morale soggettivo: la Corte censura tale motivazione osservando che in tal modo si era proceduto a duplicazione del medesimo danno consistente nel peculiare patimento che affligge una persona per la perdita del rapporto parentale.

La Corte ribadisce il principio di diritto (Cass. Sez. Un., 26972/2008; Cass. 25351/2015, 15491/2014; 21716/2013) secondo cui: “determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.

La S.C. inoltre, richiamando l’ordinanza 30997/2018, esclude che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che quello esistenziale, poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca.

Chiarito ciò che costituisce inammissibile duplicazione, la S.C. precisa quali sono le poste di danno di cui il danneggiato può chiedere (anche cumulativamente) il risarcimento:

  1. danno biologico consistente in una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca
  2. risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Tale danno potrà poi articolarsi in due ulteriori sottocategorie:
    1. sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore;
    2. sofferenza riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l’ha subita, con una ulteriore precisazione: ”non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell’attore allegare e provare; tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Sez. 3, Sentenza n. 21060 del 19/10/2016, Rv. 642934 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 16992 del 20/08/2015, Rv. 636308 – 01)”.

La sussistenza di tali danni deve essere provata dal danneggiato potendo fare ampio ricorso alle presunzioni, ma con allegazioni precise e – appunto – non generiche.

Risarcimento del danno iure hereditario

La S.C. riafferma altresì la propria giurisprudenza più recente in tema di irrisarcibilità del danno derivante dalla perdita della vita, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato la sussistenza del diritto degli attori al risarcimento del danno tanatologico iure hereditatis.

In particolare, la Corte d’appello aveva riconosciuto la liquidazione, in favore degli attori, di un danno, iure hereditario, per la perdita, da parte della de cuius, del bene della vita in sé considerato, ossia di un danno diverso, tanto dal danno alla salute, quanto dal c.d. danno biologico terminale e dal c.d. danno morale terminale (c.d. catastrofale) e, dunque, indipendente dalla consapevolezza che il danneggiato potesse averne avuto.

La Corte, pertanto, ribadisce l’ormai consolidato principio di diritto (Cass. 15350/2015) secondo il quale, “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”.

Viceversa, nel caso in cui tra la lesione e la morte si interponga un apprezzabile lasso di tempo, tale periodo giustifica il riconoscimento, in favore del danneggiato, del c.d. danno biologico terminale, cioè il danno biologico stricto sensu (ovvero danno al bene salute), al quale, nell’unitarietà del genus del danno non patrimoniale, può aggiungersene uno morale peculiare improntato alla fattispecie (“danno morale terminale”), ovvero il danno da percezione, concretizzabile nella sofferenza sia fisica derivante dalle lesioni, sia psicologica (agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus; il tutto se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di “lucidità agonica”, in quanto in grado di percepire la sua situazione e in particolare l’imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale e il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta “manifestamente lucida”

In ogni caso, rimane esclusa l’indennizzabilità ex se del danno non patrimoniale da perdita della vita.