La Suprema Corte ha esaminato un caso relativo ad una richiesta risarcitoria di un privato, avanzata nei confronti della Pubblica Amministrazione, per ottenere il risarcimento dei danni arrecati ad un fondo coltivato dall’invasione di fauna selvatica, nella specie alcuni branchi di cinghiali.
E’ peculiare che sia i precedenti giudici che la parte attrice avessero erroneamente ritenuto inapplicabile l’art. 2052 c.c. in favore dell’art. 2043 c.c., determinando così un giudicato interno ed impedendo alla Corte un riesame sul punto.
La Sentenza risulta essere però interessante perché richiama alcuni recentissimi precedenti chiarificatori del proprio orientamento, resi dalla Terza Sezione negli anni 2020 e 2021, in tema di danni provocati da animali selvatici.
In particolare la Cassazione ha ricordato che i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla Pubblica Amministrazione a norma dell’art. 2052 c.c. e quindi, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema.
Inoltre nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti.
La Regione potrà poi rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno».
In materia di danni da fauna selvatica, quindi, grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi.
Per riepilogare quando sussiste invece responsabilità del gestore di strade e autostrade ex art. 2051 per casi di investimento di fauna selvatica vi rimandiamo al nostro articolo che abbiamo pubblicato qui .